Continua il mio viaggio nel mondo degli stereotipi, raccontando di volta in volta le storie di personaggi famosi e anche no.

In questa nuova puntata vi parlerò di un attore americano, conosciuto soprattutto per il ruolo di Rafael in una delle serie tv più amate degli ultimi tempi. Alzi la mano chi ha già capito. Sì è quel gran tocco di Marcantonio di Justin Baldoni, co-protagonista con Gina Rodriguez in “Jane the Virgin”.

(Io l’ho seguita tutta, dalla prima alla quinta stagione, grande sostenitrice del #teamrafael fin subito).

Cosa c’entra quel bel figliolo con gli stereotipi? Ve lo racconto subito.

Dunque Justin Baldoni nasce a Los Angeles il 24 gennaio 1984. Il suo esordio artistico è datato 2004 con il ruolo di Ben nella lunghiiiiiissima soap-opera Febbre d’amore. Recita in Everwood, Streghe, CSI: Miami e pure in Beautiful e in diversi film per il cinema ma è proprio interpretando Rafael Solano che raggiunge la notorietà. E parliamoci chiaro, più che per le doti interpretative a colpire sono gli addominali tartarugati, la perfetta incarnazione del play-boy incallito, senza contare la faccia da ‘mpunito che fa strage di cuori a destra e a manca. 

Eppure qualcosa di nuovo capita, proprio nella serie tv. 

Durante le 5 stagioni a ‘sto povero fijo ne capitano di tutti i colori. Supera un di cancro, ma cure lo hanno reso sterile, il padre non lo ha mai amato, la madre lo ha abbandonato, il suo seme, conservato prima di iniziare cure, feconda per errore della sorella mezza matta una donna che non è sua moglie, la moglie è un’arpia (salvo redenzione cammin facendo), da straricco diventa strapovero e poi insomma, tutta una serie di disavventure che alla fine lo rendono umano. E si scopre che questo simbolo del maschio semi-latino ha un cuore, sentimenti e soprattutto parecchie fragilità. Eh, sì. Rafael piange e più di una volta pure, si commuove per un successo del figlioletto di cui si occupa al pari della madre, prende a cuore il benessere della compagna e la sua realizzazione professionale. Boom! Rafael è tutto ciò che si possa desiderare, senza perdere un briciolo della sua mascolinità, senza rubare la scena a nessuno.

Fuori dal set il bel Justin ha già elaborato una scoperta sensazionale e arriva ad una convinzione shoccante maturata dopo anni di sofferenze e di costrizioni in una pelle che non sente sua: essere   un maschietto significa molto più che possedere bei bicipiti lucidi, grande passione per lo sport, rutto libero e grattatina tattica davanti alla tv. Significa rispettare avere dubbi, paure, perplessità, significa commuoversi, desiderare il bene della persona al proprio fianco e non aver paura di manifestare i propri sentimenti e molto altro ancora. Decide di parlarne apertamente, mostrando le brutture dell’imposizione sociale, di quanto sia importante per la propria felicità, la gabbia degli stereotipi di genere.

È il 2017 quando esce alla scoperta, rivela la sua anima “femminista” partecipando al TEDWoman. Per chi non lo sapesse TED è l’acronimo di Technology Entertainment Design, una serie di conferenze chiamate anche TED talks, gestite dall’organizzazione privata no-profit Sapling Foundation nato nel ’84 nella Silicon Valley come evento singolo e trasformato nel ’90 in conferenza annuale. In principio gli argomenti sono stati solo tecnologia e design, in seguito l’evento è stato esteso al mondo scientifico, culturale e accademico.

Dicevo, Baldoni tiene un discorso al TEDWomen intitolato  “Why I’m done trying to be man enough” – Perché ho smesso di cercare di essere abbastanza uomo. Per la cronaca si tratta di un progetto che ha visto la luce prima dell’esplosione del caso Weinstein, che comunque ha spinto il baldanzoso Baldoni a realizzare un episodio speciale tutto dedicato al movimento #metoo.

Ha raccontato di essere stato vittime di molestie da parte di un facoltoso uomo di potere dell’industria dell’intrattenimento, che più che altro puntava ad intrattenersi con lui in cambio di di una sfavillante carriera holliwoodiana. “Ricordo perfettamente il modo in cui lui usò il suo potere per farmi sentire inferiore, per smontare le mie ambizioni e al contempo promettermi successo se avessi soddisfatto i suoi desideri” –  ha spiegato al TED.

Nella sua carriera ha ricevuto diversi copioni e interpretato personaggi inventati da altri, principalmente playboy machissimi, con fisici strepitosi sempre in bella mostra  fino ad arrivare al ruolo che l’ha reso famoso in tutto il mondo: Rafael Solano. Nel suo monologo spiega di amare la recitazione per la possibilità di vivere dentro personaggi molto diversi da sé stesso, ma ad ogni  nuova proposta di lavoro ricevuta la richiesta è sempre la stessa: deve sempre interpretare sempre e soltanto uomini che trasudano machismo, potere e carisma, attitudini che tra l’altro non sente di possedere. “Era come Hollywood mi vedeva, e nel corso del tempo ho notato un parallelismo tra uomo che interpretavo essendo uomo sullo schermo e fuori”. Inizia quindi una profonda analisi interiore e comprende di interpretare un ruolo che non gli appartiene anche nella vita, costringendosi in uno stereotipo programmato, fisso da sempre. “Ho finto di essere un uomo che non sono per tutta la vita. Ho fatto finta di essere forte quando mi sentivo debole, di essere sicuro di me, quando mi sentivo insicuro e duro quando in realtà soffrivo. Credo di aver messo su una sorta di teatrino per molto tempo, ma sono stanco di recitare. E posso dirvi adesso che è estenuante cercare di essere abbastanza uomo per tutti, di continuo”.

Spiega al pubblico che fin da piccolo tutto ciò che ha desiderato era essere accettato dagli altri e ciò ha comportato avere una visione quasi disgustata del femminile, con la giustificazione che femminile è l’opposto di maschile e dovendo spesso rifiutare una parte di se stesso per non essere rifiutato a sua volta. “Le ragazze sono deboli e i ragazzi sono forti. Questo è ciò che viene comunicato inconsciamente a centinaia di milioni di ragazzi e ragazze in tutto il mondo, come è stato per me. Bene, sono venuto qui oggi per dire, da uomo, che questo è sbagliato, è tossico e deve finire”. A 30 anni Justin Baldoni ha fatto i conti con se stesso e ha capito di vivere in uno stato di conflitto con chi sentiva di essere nel profondo e quello che il mondo gli impone di essere. Non significa che ci sia qualcosa di naturalmente sbagliato o tossico negli uomini, ma è necessario per ognuno raggiungere un equilibrio. 

Parla del padre come esempio più alto della possibilità di essere profondamente uomini pur essendo consapevoli della necessità di avere delle fragilità. Il padre non gli insegna che essere uomini significa  battersi con i compagni, ma il ruolo di persona che può e deve chiedere aiuto se ne ha bisogno, senza per questo sentirsi defraudato del proprio essere maschio. “Conosco un uomo che morirebbe piuttosto che dire a un altro che sta soffrendo. Ma questo non succede perché siamo tipi forti e silenziosi, non è così, molti di noi uomini sono bravi a farsi degli amici e a parlare basta che non sia di cose personali. Se si tratta di lavoro o sport, politica o donne non ci sono problemi dire la nostra, ma se si tratta delle nostre insicurezze o battaglie della nostra paura di fallire, allora è quasi come se ci paralizzassimo”.

Ha combattuto con questa parte di sé, anche esercitandosi e creando esperienze che lo obbligavano ad essere vulnerabile, a buttarsi a capofitto in questo nuovo modo di sentirsi, perché è un esercizio che coinvolge gli altri e fa cadere le barriere, come è successo nel momento in cui ha voluto condividere con i suoi amici una difficoltà. E ha fatto molto di più: ha usato i social per creare esercizi giornalieri di autenticità e vulnerabilità. La risposta è stata straordinaria, potente, amorevole….ma solo da parte delle donne! Perché si chiede? 

Scopre scorrendo sui commenti ad una sua foto che lo ritrae mentre bacia la moglie, un commento di un ragazzo che dice alla fidanzata di non taggarlo in queste “robe da gay”. Essere gay rende meno uomini, questo è il pensiero di molti. Decide di rispondere chiedendo perché esternare l’amore per la moglie è qualificato come cosa da gay, chiede spiegazioni perché, sinceramente, vuole capire. E la risposta è stata epica. Il ragazzo ha raccontato di come per tutta la vita  abbia dovuto combattere con il suo ego, ma che amava profondamente la sua ragazza ed era grato del suo amore e soprattutto che crescendo ha scoperto che le dimostrazioni di affetto pubbliche ero malviste. Dopo qualche settimana lo stesso ragazzo ha scritto a Baldoni inviando una foto nella quale è in ginocchio mentre chiede alla sua fidanzata di sposarlo, con tanto di ringraziamenti per avergli permesso di fare questo salto di qualità. Aveva riflettuto, aveva scelto di prendere esempio da Baldoni.

La mossa successiva è stata postare foto in atteggiamenti maschili per antonomasia, come gli allenamenti con i pesi, della dieta, il percorso di riabilitazione dopo un infortunio et voilà! Riceve un decine e decine di messaggi da uomini e addirittura da un giornale di fitness che vuole fargli l’onore di inserirlo tra i suoi uomini rivoluzionari. “È davvero rivoluzionario o solo conformista? È questo il problema. Agli uomini va bene seguirmi quando parlo di cose da maschi, conformi alle norme di genere, ma se parlo di quanto io ami mia moglie o mia figlia o mio figlio di dieci giorni di come io creda che il matrimonio sia difficile, ma bellissimo o di come essendo un uomo, ho problemi di dismorfofobia o se promuovo la parità di genere mi seguono solo donne”. 

Gli uomini sono sfidati fin da piccoli ad essere i forti, coraggiosi, gli uomini non devono piangere se sono tristi tantomeno se sono felici, gli uomini non devono ascoltare le proprie compagne, assecondarle o spronarle nella loro personale ricerca di miglioramento in qualsiasi sfida della loro esistenza. Questo, secondo la società, è essere uomo. 

Baldoni spiega che il suo percorso di accettazione di sé stesso è passato anche attraverso l’analisi dei comportamenti che ha avuto con le donne della sua vita e in questo sua moglie è stata fondamentale perché lo ha messo davanti alla realtà.”Mia moglie mi ha detto che ho avuto dei comportamenti che l’hanno ferita e non li ho corretti. Praticamente a volte mentre parlava a casa o in pubblico la interrompevo a metà frase e finivo il suo pensiero a posto suo. È terribile. La cosa peggiore è che non me ne rendevo affatto conto, era inconscio.”

La sua battaglia ora è quella di essere femminista amplificando le voci delle donne del mondo perché “essendo uomini dovremmo iniziare ad andare oltre i nostri privilegi e riconoscere che non siamo solo parte del problema, ma siamo il problema. Il soffitto di vetro esiste perché lo abbiamo messo noi, se vogliamo esser parte della soluzione le parole non sono più sufficienti”.

Nel suo discorso chiede alle donne di perdonare gli uomini per tutte le volte che non si sono affidati alla loro forza e di aiutarli “perchè da soli non ci riusciamo. Siamo uomini, faremo casini, dicendo la cosa sbagliata, col tono sbagliato, molto probabilmente offendendovi, ma non perdete la speranza. Siamo qui solo grazie a voi e come voi, da uomini, dobbiamo fare qualcosa ed esservi alleati nella battaglia contro praticamente tutto. Ci serve il vostro aiuto per celebrare la nostra vulnerabilità e siate pazienti con noi mentre facciamo questo lunghissimo viaggio dai nostri cervelli ai nostri cuori.”

Al termine del suo commovente discorso al TED, Baldoni si rivolge ai genitori, perché possano insegnare ai figli che ciò che conta è essere buoni esseri umani e non bambini coraggiosi o bambine carine, ma è per suo padre l’ultima battuta l’uomo che più di tutti lo ha aiutato a riscoprire la sua vera entità. “Anche se io padre non mi ha insegnato ad usare le mani, mi ha insegnato a usare il cuore e questo lo rende più uomo di qualsiasi altra cosa”. 

Link puntata

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