Se qualcuno sostiene che un uomo non possa fare la tata, Lorenzo Naia dimostra l’esatto contrario. Più conosciuto come “La Tata Maschio” si occupa d’infanzia fin da giovanissimo. Il suo nickname vuole essere un manifesto di apertura, un invito a superare gli stereotipi. 

Ha risposto volentieri alle mie domande e mi ha raccontato del suo percorso formativo, di come abbia sempre, fortemente voluto fare la tata e di programmi futuri.

Il tuo blog seguitissimo ha un nome emblematico “La Tata Maschio”, perché hai scelto questo nome?

È sicuramente un nickname che ben si inserisce nel tuo podcast nella tematica degli stereotipi. Mi piace dire che è un piccolo manifesto in cui invito a riflettere, in maniera ironica, su quanto gli stereotipi di genere ancora influiscano sulle professioni, in particolare sulle professioni di cura e ancor più nello specifico, in tutto il mondo dell’infanzia e dell’educazione.

Perché tu ti occupi di educazione.

Io mi sono occupato di educazione nel senso che ho cominciato veramente facendo la tata. Ci sono state prima delle esperienze molto acerbe, negli ultimi anni delle scuole superiori, mi capitava di occuparmi della cuginetta più piccola, fare volontariato nel quartiere con i bimbi che venivano segnalati dai servizi sociali. Dopodiché sono arrivati gli anni universitari, ho studiato psicologia e ho iniziato a fare davvero la tata, babysitter a tutti gli effetti presso alcune famiglie che abitavano nella mia zona e ho capito che volevo occuparmi di infanzia. Per tanti anni, parallelamente al percorso di studi e quando l’ho poi concluso, ho gestito alcuni servizi extrascolastici per minori. Oggi mi piace dire che continuo a fare la tata, ma con le parole. Continuo ad occuparmi di infanzia, ma dai servizi in prima linea con i bambini, sono passato alla creazione di contenuti per bambini. Non mi occupo più in senso stretto di educazione, ma di contenuti a tutto tondo per l’infanzia e per famiglie.

Ma quindi nasce per caso il tuo percorso formativo come educatore?

In realtà l’idea di lavorare con l’infanzia comincia molto presto, per me era chiaro fin da giovanissimo e appunto le prime esperienze si collocano proprio in questo senso. Diciamo che sicuramente l’idea del percorso formativo nasce nell’ottica di occuparmi di infanzia, inizialmente pensavo di occuparmi di psicoterapia infantile. Poco per volta ho capito che mi piaceva rapportarmi con bambini e ragazzi in altri contesti e che non fosse quello terapeutico. L’idea c’è quindi da sempre, ma negli anni ha mutato forma, dai servizi in prima linea al “dietro le quinte”, per così dire di questo mestiere.

Quando hai deciso di occuparti di educazione, che tipo di risposta hai avuto dalle persone che ti stavano accanto? Hai incontrato degli ostacoli?

Mah, la premessa necessaria secondo me da fare, è che oggi si sente parlare tanto di stereotipi di genere e soprattutto ci sono molte iniziative volte proprio a scardinare gli stereotipi limitanti. Nei primi anni 2000 non era esattamente così, quindi sicuramente ero, diciamo, un “esemplare esotico” per certi aspetti e devo dire che per la mia cerchia familiari e amici no, questa cosa non ha mai rappresentato un problema, anzi. Il problema era più degli esterni che si relazionavano con me. In primis gli insegnanti dei ragazzi che guardavo o banalmente, le classiche situazioni da parco pubblico, per strada. Però c’è un’altra premessa necessaria da fare ed è che comunque a quell’età, 20 anni, sicuramente ero molto meno consapevole ma molto più “militante” sul pezzo, ero molto più caldo sulla cosa, ora sono meno combattivo da questo punto di vista, molto più consapevole. Però in qualche modo l’energia che hai a 20 anni ti fa non solo superare alcuni limiti, ma anzi diventano quasi motivo per rimarcare ancora più fermamente le tue convinzioni. Per cui non li ho mai vissuti come delle grandi difficoltà, però è oggettivo che ci fossero, nel senso che non era e tutt’ora non lo è, una cosa totalmente accettata.

Hai mai avuto ripensamenti durante il tuo percorso?

No, devo dire che questo tipo di titubanze non ci sono mai state, nel senso che avevo le idee chiare e quindi ho proseguito per la mia strada. È chiaro che porsi delle domande questo sì, è presente, ma è più legato al proprio operato, quindi interrogarsi se si sta facendo bene se si sta procedendo in linea con i propri principi e i paletti che in qualche modo ci si dà, ma questo penso sia un’auto-verifica più che sana e necessaria in qualunque tipo di professione. Le incertezze altrui non mi hanno mai condizionato, questo devo dire no. 

Sapevi di fare la cosa giusta e hai continuato per la tua strada…

Sì, ero convinto di star facendo una cosa che era nelle mie corde, che mi piaceva e a cui potevo a mia volta dare un contributo e quindi speravo con la mia azione in qualche modo, di dare beneficio ed essere utile non solo nel contesto in cui mi ritrovavo a lavorare, ma indirettamente sensibilizzare chi mi stava intorno sul fatto che il genere non deve rappresentare un ostacolo alla professione. Non è il genere a definire la qualità del nostro lavoro e quindi non deve rappresentare motivo di esclusione in determinati settori e non penso soltanto all’ambito educativo ovviamente.

Il genere nelle professioni è ancora limitante, purtroppo. Tu pensi che nel nostro Paese si sia raggiunto un buon punto di svolta o secondo te c’è ancora molto da fare?

C’è tantissimo da fare, non credo si sia a buon punto, nel senso che tante volte ho un po’ l’illusione che le cose stiano andando bene, ma deriva dal fatto di agire dentro una bolla di persone che comunque la pensano come me o da chi magari mi segue online, che in qualche modo si ritrova nelle cose che dico quindi ci si trova per comunanza di valori, di interessi e di obiettivi di vita. C’è parecchio da fare nei grandi centri dove ormai sì, si è a buon punto, ma non ancora ad un livello soddisfacente e ce n’è invece un’infinità da fare nei piccoli centri, perché poi non dimentichiamoci che l’Italia è un paese di provincia e di province. I piccoli centri prevalgono sulle grandi città, nelle realtà di provincia appunto i ruoli sociali sono ancora molto forti e molto duri da ridefinire. Sicuramente se ne sta parlando tanto e tanto di più rispetto a prima e questo è un elemento assolutamente positivo, ma dal parlarne a poi vedere concretizzati e attuati questi cambiamenti ne passa ancora tanto. Non dobbiamo abbassare la guardia.

Tu vivi a Torino che è una grande città, ma hai mai pensato di spostarti, magari di andare all’estero per avere delle opportunità in più per il tuo lavoro?

Il mio lavoro mi porta a muovermi abbastanza. Lavoro moltissimo nel milanese, anzi gran parte del mio lavoro arriva proprio da Milano, quindi mi muovo tanto tra Torino e Milano, mi capita ogni tanto di fare altre trasferte o in Italia o all’estero. A Torino sto bene, è una città che mi piace da sempre anche se questa provincialità a cui facevo riferimento prima, sicuramente facciamo fatica a togliercela di dosso. Attualmente non ho in mente di spostarmi, forse proprio perché già mi capita di muovermi e per ora mi è sufficiente, perché mi permette di affacciarmi su altri panorami su altre realtà.

Torino pur essendo una città del nord, e qui tocchiamo un altro stereotipo, è molto accogliente e offre delle buone opportunità. Io poi sono particolarmente legata a Torino perché ci ho vissuto per tanti anni. Attraverso il web è forse più facile affrontare il tema degli stereotipi, sicuramente in un modo più diretto, forse un pochino più crudo, ma con il tuo blog ad esempio, è possibile entrare nel tuo mondo. C’è qualche episodio nella tua esperienza di blogger che ti ha spiazzato, magari qualche commento “strano”?

Ma allora, rispetto al blog, volendo ripercorrerne velocemente le tappe, avevo il desiderio di sfruttare le potenzialità del web per dare un punto di vista diverso che non era quello della mamma, che non era quello del papà, che non era quello della maestra, era il mio, un ruolo diverso da questi elencati. Inizialmente mi piaceva l’idea, e parliamo proprio dei blog non della primissima ora ma quasi, quindi epoca pre-social o quando erano ancora all’inizio, di utilizzare il web per creare delle community di persone che avesse voglia di declinare l’educazione e il mondo dell’infanzia in una maniera un po’ più ampia e più libera dagli stereotipi tanto in un professionista quanto in famiglie o comunque in chi può beneficiare del lavoro di un professionista. Quindi volevo si potesse parlare di infanzia in maniera più libera. Col tempo la mia professione è cambiata, attualmente cerco di mantenere nel blog un racconto di un punto di vista, cerco condividere le cose che faccio, ma sempre mantenendo fermi questi valori e quindi  un’educazione libera dagli stereotipi limitanti,  in cui quello che ha più peso è la professionalità e la passione che mettiamo nelle cose. Non deve essere il genere a definirci nella nostra totalità, è sicuramente uno degli aspetti che fa parte di noi, ma non deve diventare elemento, come dicevo prima, di esclusione. Nel blog racconto questo.

Quello che mi colpisce è vedere il negativo, quando miei coetanei con cui magari ho fatto esperienze molto simili e che magari conosco anche direttamente o con i quali facciamo parte di una stessa generazione che ha avuto uguale accesso alla conoscenza, formazione, istruzione, esperienze di vita, che in maniera assolutamente acritica, continua a replicare ai modelli che erano dei nostri genitori, se non addirittura dei nostri nonni. Questo mi tocca molto perché credo sia un nostro dovere, anche quando non viviamo una situazione di discriminazione per stereotipo di genere, provare a migliorare le cose, a smantellare i ruoli in cui non ci riconosciamo o che sono limitanti per le altre persone, provare quindi a metterci in gioco in prima persona e ridefinire le cose. Si tratta di uscire dalla nostra comfort zone, fare la nostra parte come impegno politico, sociale. Mi colpisce che qualcuno della nostra generazione non si senta toccato da questi temi e che continui a replicare schemi più che superati e soprattutto dannosi. 

Lo zoccolo duro è proprio questo, la nostra generazione che dovrebbe fare da ponte tra quella legata, troppo, agli stereotipi e la nuova che dovrebbe essere più libera. Per assurdo, molto spesso la nostra generazione crea ostruzionismo.

Sì, diciamo che noi abbiamo iniziato a capire e a sperimentare, in molti casi al 100%, la fortuna e la possibilità di auto-determinarci quindi scegliere chi vogliamo essere, con che ruolo sociale, con che professione e mi stupisco che qualcuno non voglia estendere questo diritto a tutti. Mi stupisce quando magari non arriva da una situazione di deprivazione culturale per cui, effettivamente ha vissuto esperienze che non gli hanno dato i miei stessi strumenti, per i quali allora comprendo ci sia ancora una difficoltà nel visualizzare il problema. Quando hanno avuto un vissuto che è paragonabile al mio,  come dire, non ci sono scuse! Faccio proprio fatica a comprendere questi schemi sociali, familiari, molto prevaricanti, molto patriarcali, ormai superati. A parità di esperienze mi stupisco di come tante volte sia ancora molto più comodo continuare a replicare degli schemi arcaici. 

Hai usato un termine perfettamente calzante che è “comodo”, è più facile rimanere chiusi nella propria comfort zone come dicevi tu prima, che avere il coraggio e la forza di andare oltre. Sei autore di libri per bambini e hai affrontato diverse tematiche. Ad esempi in “Mr Creen ha fame” parli della piramide alimentare, usando un linguaggio più comprensibile per i bambini oppure in “Fiabe in rosso” parli della violenza sulle donne, degli stereotipi di genere.

Sì, giusto per chiarire meglio cosa faccio, di cosa mi occupo. Sono autore di libri per bambini e ragazzi, collaboro con riviste e testate web e realizzo progetti creativi per aziende. Nei libri, questa tematica di tanto in tanto fa capolino, ma per il semplice fatto che trovo sia un’urgenza tale da non poterla tenere solo per me e penso sia importante ogni tanto accendere dei riflettori e provare a ragionarci insieme. Il primo libro è quello che hai citato tu “Mr. Creen” ha fame, che ha fatto da ponte tra la mia attività di educatore e quella come autore, ha un’impronta fortemente educativa e io e l’illustratrice l’abbiamo realizzato con la consulenza di una dietista, serviva proprio a raccontare l’alimentazione ai bambini, in maniera narrativa, più leggera. “Fiabe in rosso” è un libro che per me ha segnato la svolta, si prefissa un obiettivo ancora più ambizioso e più serio perché affronta il tema della violenza di genere e degli stereotipi di genere che io vedo come due tematiche ahime’ molto legate, perché lo stereotipo non porta fortunatamente e in maniera necessaria  alla violenza, ma invece la violenza in maniera necessaria fonda le radici in un terreno fatto di stereotipi. 

La violenza nel libro non viene mai esplicitata, è tutto un lavoro metaforico. Sono le fiabe della tradizione che sono stata riscritte e la storia prende un corso diverso da quello al quale siamo abituati, quella che ci è stata raccontata più volte, in cui sono i protagonisti a scegliere per se stessi, non aspettano sempre che qualcuno venga a salvarli. Magari il lieto fine non è lo stesso per tutti, non tutti abbiamo la stessa idea in merito e ognuno può scegliere di essere il protagonista a tutti gli effetti.

Lorenzo in questa fase di ripartenza dopo l’emergenza sanitaria quali sono i tuoi progetti, quale magia tirerai fuori dal cilindro?

Fortunatamente per me non è stato un momento di stallo, ho tanti progetti in cantiere, progetti editoriali, sto scrivendo nuovi testi che in realtà qualche modo risentono di questo momento, perché il calendario editoriale di tutte le case editrici dovrà subire delle modifiche. Sono testi che erano già in lavorazione, già contrattualizzati, ma stiamo ragionando sul momento giusto per farli uscire, visto il duro colpo che l’editoria ha subito. Io procedo con i miei libri e parallelamente con progetti per aziende family-friendly. Si tratta di progetti che solito hanno come comune denominatore una narrazione, a volte sono edizioni limitate, a volte sono fisici, a volte sono delle campagne di comunicazione. C’è sempre qualcosa da reinventare. Nei prossimi mesi anche questi progetti vedranno la luce, alcuni a brevissimo, altri un po’ più a lungo termine. Mi piace l’idea di declinare il racconto per bambini su più supporti. Non esistono solo i libri e una buona narrazione la troviamo dovunque, anzi mi piace che un bambino possa riconoscere non solo un buon libro, ma soprattutto una buona narrazione.

Lorenzo come è possibile seguire i tuoi progetti, il tuo lavoro. Sei su tutti i social?

Sì, sono su Instagram e Facebook come “La Tata Maschio” e poi c’è il mio sito che è questo grande contenitore delle principali cose che faccio che è www.latatamaschio.it

 

Link della puntata:

https://www.spreaker.com/episode/28308068